Angelo Mastrandrea
Al numero 56 di via dei Volsci è una giornata come le altre, solo un po' più afosa. Marco sfoglia i quotidiani del mattino, Salvatore è in piedi alla consolle, un Carletto Marx armato di cuffia e microfono osserva severo da una parete che a Onda rossa si tenga la barra dritta e vada in onda la musica giusta. Oggi (ieri per chi legge, ndr) la radio del '77 e del movimento antinucleare, del G8 di Genova e delle «comunità in rivolta» del 2007 taglia il traguardo dei 30 anni ma non vuol saperne di invecchiare. Forse non può permetterselo. Tra pochi giorni, ricorda un manifesto all'ingresso, comincia il G8 di Heiligendamm e ancora una volta nel movimento antagonista romano chi non sarà partito per il mar Baltico si sintonizzerà sulla mitica frequenza 87,9 per ascoltare le cronache affannate, spesso urlate e sfacciatamente di parte di reporter improvvisati e militanti inseguiti dalla polizia.E' stato sempre così da quel 24 maggio '77, quando una nuova onda prese l'etere per raccontare il movimento da una prospettiva totalmente interna. Mai una parola al suo posto, mai un atteggiamento al di sotto delle righe, mai un brano in onda che non parlasse la lingua della trasgressione e della sovversione. Sempre con un solo obiettivo, poi diventato lo storico slogan della radio: «dare voce ai senza voce», anche quando si rischia di assecondare umori non proprio politicamente corretti.Microfoni aperti«Lasciamo il microfono aperto, sperando che qualche anziana signora chiami per segnalare uno sfratto, piuttosto che occuparci della sinistra al governo, che ha già la possibilità di comunicare come e quanto vuole». Oggi la radio parla la lingua delle tante comunità immigrate che chiedono (e ottengono) uno spazio autogestito, e il romanesco degli affezionati ascoltatori-sostenitori che versano i cinque euro dell'azionariato popolare, «come nel 1920 nella repubblica di Weimar», e però poi vogliono sentirsi ascoltati e partecipare. Nel '77 parlava la lingua dei nuovi movimenti studenteschi, dell'Autonomia operaia, dei comitati di quartiere e dei lavoratori del Policlinico o dei ferrovieri che non volevano aver nulla a che fare con i sindacati confederali. Altri tempi. «Siamo nati come una radio dichiaratamente di parte in un'epoca in cui, dopo la cacciata di Lama dall'università La Sapienza, non era più possibile alcuna mediazione: o stavi di qua, con il movimento, o di là, con partiti e sindacati». E i partiti e sindacati non erano la Dc o Cisl e Uil, ma il Pci e la Cgil. Salvatore Ricciardi, ex ferroviere e militante da sempre, è lì dagli inizi. E' un nostalgico del rock dei «seventies» ma ha dovuto farsi una ragione del cambiamento generazionale di una radio che ha attraversato in trent'anni la cultura dell'hip hop e delle posse, per approdare oggi all'hardcore e all'elettronica. «Agli inizi avevamo una redazione ma non una sede, per cui abbiamo cominciato a trasmettere appoggiandoci per alcune ore al giorno a Radio Città futura. Ma noi parlavamo comunque un linguaggio diverso. Ad esempio loro avevano un rapporto dialettico, anche se di scontro, con il sindacato. Noi invece eravamo totalmente al di fuori e contrapposti a partiti e sindacati», racconta.Anche Città futura, come la ex Radio Proletaria (ora Città aperta), è sopravvissuta agli anni '70, anche se profondamente cambiata nella natura e nella struttura. Onda rossa invece no, prosegue imperterrita «con la nostra filosofia di sempre, quella di dare voce solo a chi ha da gridare la propria rabbia». Così dopo un po' si separarono, e da una piazza Vittorio non ancora multietnica il collettivo di Onda rossa traslocò nel quartiere «rosso» di San Lorenzo. Meglio, in quella via dei Volsci che era cuore e cervello dell'Autonomia romana. E la storia della radio andò a sovrapporsi a quella di una strada non meno mitica nell'immaginario dei militanti della sinistra più estrema della capitale.«San Lorenzo cominciò a popolarsi di realtà antagoniste agli inizi degli anni '70. I Comitati unitari di base dei ferrovieri cominciarono ad aprire le proprie sedi agli inizi della via dopo gli scioperi a Roma Termini dell'estate '71. Poi arrivarono i lavoratori del Policlinico e quelli dell'Enel, e in seguito quelli del comune, dell'Alitalia, della Sip. In seguito partirono le lotte per la casa, le prime occupazioni, a partire da San Basilio, cominciarono a nascere i primi comitati di quartiere».La base di San Lorenzo«Tutte le realtà autorganizzate della capitale avevano come base San Lorenzo, e così ben presto fu occupata l'intera strada», ricorda Salvatore. E' in questo contesto che, con l'esplosione del movimento del '77, nacque Onda rossa.Era l'epoca delle prime radio libere, vedevano la luce a Milano Radio Popolare, a Padova Radio Sherwood e nella piccola Terrasini alle porte di Palermo un collettivo guidato da un certo Peppino Impastato prendeva in giro la mafia e don Tano Badalamenti dalle frequenze di Radio Aut. La contestazione cominciava a infestare anche l'etere, a Bologna l'allora ministro dell'interno Cossiga mandava i blindati a chiudere Radio Alice e in via Mascarella l'11 marzo il giovane studente Francesco Lorusso veniva crivellato di proiettili. Ma nemmeno i carri armati riuscirono a fermare l'onda. Bastavano pochi rudimentali mezzi, tanta buona volontà e nessuna formazione giornalistica per partire lancia in resta. E così il 24 maggio a Roma si accese un'altra voce.«Nessuno di noi aveva idea di come si facesse una radio, le nostre prime trasmissioni erano in realtà dei veri e propri comizi. Cose oggi inascoltabili. I nostri compagni erano abituati alle assemblee e a interventi logorroici, non al linguaggio radiofonico. Per fortuna che avevamo una buona cultura musicale, solo in questo modo riuscivamo a salvarci», ride Salvatore. Poi per il movimento arrivarono le batoste, la repressione e il riflusso. A rianimare la radio ci pensò, nei primi anni '80, il movimento antinucleare, che portò non solo energie e forze nuove ma anche linguaggi differenti e un tema fino ad allora rimasto estraneo alla sinistra anche più radicale, quello dell'ambiente.Nel frattempo molte esperienze avevano già fatto il loro tempo e si erano spente. Onda Rossa era riuscita però a sopravvivere al mare in tempesta. E lo farà anche in seguito, riuscendo sempre a rinnovarsi e a cogliere l'aria dei nuovi movimenti radicali. Facendo spesso da avanguardia musicale. Come quando dal 56 di via dei Volsci, alla fine degli anni '80 e alla vigilia della «Pantera», l'Onda Rossa Posse aprì la stagione dell'hip hop italiano e con brani come «Batti il tuo tempo» mise in rima la rinascita di un movimento giovanile che si dedicava alle occupazioni dei centri sociali. Da qui nasceranno poi gruppi come gli Assalti frontali. Negli anni 2000, invece, il progetto Tarantola rubra sarà alfiere della riscoperta dei suoni etnici del sud Italia, da Napoli al Salento.No global, momento d'oroAltro momento d'oro quando, nel '99 a Seattle, nacque il movimento no global. Onda Rossa partecipò al progetto di Radio Gap, un network di radio antagoniste (da Onda d'urto di Brescia a Blackout di Torino) che divenne uno strumento essenziale di racconto delle giornate del G8 di Genova, nel luglio 2001. I reporter erano gli stessi militanti che protestavano e poi mettevano in rete video, foto e testimonianze su Indymedia, non c'era alcuna distanza critica né desiderio di imparzialità, ma si rivelarono una vera e propria bomba per svelare la repressione poliziesca. E la radio, che trasmetteva dalle scuole Diaz-Pascoli, finì nel mirino delle forze dell'ordine. La cronaca in diretta dell'irruzione degli agenti, «ecco stanno entrando, ci hanno circondato», poi il blackout, sono un piccolo pezzo di storia del giornalismo alternativo e rimandano la memoria alla chiusura di Radio Alice nel '77.E oggi? L'Onda Rossa non si è per niente calmata. Vinta la pluriennale battaglia per mantenere la frequenza occupata, disturbata prima da Radio Vaticana e contesa poi da Radio Subasio, continua ad ascoltarsi dal carcere di Rebibbia alle case occupate di tutta Roma. 110 redattori-militanti-dj che si affollano ai microfoni o dietro il mixer, reggae «a palla» per buona parte della giornata, serate a tutta electro, la colorita rassegna stampa del mattino, alcuni gr, i microfoni aperti come sempre, le campagne contro il carcere e diversi spazi autogestiti. Come sempre dal '77 a oggi senza accettare contributi statali o pubblicità, ma semplicemente chiedendo ogni anno cinque euro a mille ascoltatori e autofinanziandosi con feste e concerti nei centri sociali della capitale.E la politica? «Quello che ci ha mantenuto in vita è il non aver mai cambiato il nostro spirito, che è quello di dare voce a tutti i movimenti senza stare mai da una sola parte e cercando di comprenderli», dicono, «dal pacifismo al nuovo fronte delle lotte comunitarie». Dopo trent'anni di lotta di classe, ammettono, non è però facile abituarsi alle proteste interclassiste.
articolo tratto da www.ilmanifesto.it
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