All'inizio degli anni 60 pubblicitari e grandi investitori del broadcasting commerciale nord americano erano alla ricerca di nuovi sbocchi di mercato e rivolsero la loro attenzione all'Europa in pieno boom economico post bellico. L'unico problema consisteva nel fatto che a differenza del nord America, le radio europee erano nella stragrande maggioranza enti di diritto pubblico e tranne rare eccezioni le legislazioni dell'epoca conferivano a radio e tv di stato il monopolio delle trasmissioni via etere. La soluzione adottata per aggirare le leggi nazionali fu quella di reperire navi di adeguate dimensioni, attrezzarle con studi di trasmissione e registrazione, sistema di antenne trasmittenti e tutta la necessaria logistica per consentire la vita a bordo del personale necessario al suo funzionamento e ancorarle poco al di fuori delle acque territoriali della nazione verso la quale si voleva trasmettere. Si trattava di imprese commerciali vere e proprie che disponevano di competenze tecniche, logistica e grandi capitali. Si trattava in definitiva di una vera e propria invasione culturale, destinata però ad avere successo e influenzare non poco i costumi, la vita e il modo di vivere di una generazione di giovani nati poco dopo la guerra, pronti a lasciarsi alle spalle un modo di vivere considerato antiquato se non addirittura opprimente. Oltretutto le radio nazionali avevano mantenuto quella impostazione pedagogica che avevano adottato fin dalla loro nascita negli anni 20, i tentativi di innovazione del linguaggio e dei contenuti erano pochi e poco coraggiosi e le nuove radio commerciali off shore trovarono terreno fertile e un pubblico pronto ad abbracciare questa nuova moda e a trasformarsi da ascoltatore a consumatore. Lo scenario era questo, ma negli anni si è consolidata la leggenda dei pirati, prima perché il parallelismo con la marineria degli antichi bucanieri era fin troppo facile da associare a questo nuovo modo di fare comunicazione e successivamente perché gli stati nazionali, in particolare il Regno Unito, per difendere le proprie prerogative territoriali, ma anche per un conservatorismo culturale, per qualche aspetto condivisibile, ingaggiarono una guerra senza quartiere contro queste emittenti. Vennero adottati provvedimenti economici e legislativi come il Marine Broadcasting Act che nel giro di 3 anni costrinsero queste emittenti alla chiusura. Correva l'anno 1967. E' ovvio che con un finale di questo genere non si può che passare dalla cronaca spicciola alla leggenda e nel corso degli anni questa leggenda si è consolidata al punto tale che a questo fenomeno di costume sono stati dedicati saggi libri, film e commemorazioni. Sul fronte saggistico-letterario italiano è di recente pubblicazione "Viva i Pirati" del giornalista Lorenzo Briotti che partendo dalla sua tesi di laurea ha pubblicato per i tipi della casa editrice Arcana un interessante saggio che ripercorre in modo analitico le vicende della radio off shore nel nord Europa collocandole nel più ampio contesto del mondo delle telecomunicazioni dell'epoca. Il saggio dedica una serie di capitoli alle emittenti che più hanno influenzato quel periodo: Radio Caroline, Radio London, Radio Veronica e tante altre che hanno contribuito a dare agli anni 60 quell'aurea di leggenda che ancora si portano dietro. Non mancano ovviamente i riferimenti alla realtà italiana "liberata" dal monopolio pubblico solo nel 1976 con emittenti come Radio Milano International che avevano come punto di riferimento i pirati dei mari settentrionali del precedente decennio. Potete ascoltare una bella presentazione di questo libro dalla voce dell'autore. Ne abbiamo parlato in una interessante conversazione che abbiamo voluto arricchire con jingles e contenuti d'epoca. A conclusione possiamo dire che alla lunga le radio off shore pur avendo avuto una durata temporale limitata hanno vinto. Dopo la loro chiusura molti dei DJ, tecnici del suono e redattori dei programmi, sono passati alle emittenti "istituzionali" che, vedasi il caso di BBC 1, ne hanno adottato contenuti e stile. La definitiva apertura del broadcasting ai privati ha fatto il resto. Ma questa, come diceva qualcuno, è un'altra storia.
In the early 1960s advertisers and major investors in North American commercial broadcasting were looking for new market outlets and turned their attention to Europe in full post-war economic boom. The only problem consisted in the fact that unlike North America, the European radios were overwhelmingly bodies of public law and with rare exceptions the laws of the time gave state radio and television the monopoly of broadcasting over the air. The solution adopted to circumvent national laws was to find ships of adequate size, equip them with transmission and recording studios, a system of transmitting antennas and all the necessary logistics to allow the life on board of the personnel necessary for its operation and anchor them little to the outside the territorial waters of the nation to which it was intended to be transmitted. These were real commercial enterprises that had technical skills, logistics and large capital. Ultimately it was a real cultural invasion, destined, however, to be successful and greatly influence the customs, life and way of life of a generation of young people born shortly after the war, ready to leave behind a way of living considered antiquated if not downright oppressive. Moreover, the national radios had maintained that pedagogical approach that they had adopted since their birth in the 1920s, the attempts to innovate language and content were few and not very courageous and the new offshore commercial radios found fertile ground and an audience ready to embrace. this new fashion and to transform itself from listener to consumer. This was the scenario, but over the years the legend of pirates has consolidated, first because the parallelism with the navy of the ancient buccaneers was all too easy to associate with this new way of communicating and then because the nation states, in particular the Kingdom United, to defend their territorial prerogatives, but also for a cultural conservatism, in some respects shareable, they waged a merciless war against these broadcasters. Economic and legislative measures were adopted such as the Marine Broadcasting Act which forced these broadcasters to close within 3 years. It was the year 1967. It is obvious that with an ending of this kind one cannot but pass from the petty chronicle to the legend and over the years this legend has consolidated to the point that essays have been dedicated to this phenomenon of customs. , films and commemorations. On the Italian literary-essay front, "Viva i Pirati" by the journalist Lorenzo Briotti has recently been published. Starting from his degree thesis, he published an interesting essay for the types of the Arcana publishing house that analytically traces the events of offshore radio in northern Europe placing them in the broader context of the telecommunications world of the time. The essay dedicates a series of chapters to the broadcasters that most influenced that period: Radio Caroline, Radio London, Radio Veronica and many others that contributed to giving the 60s that aura of legend that they still carry with them. Obviously there are references to the Italian reality "freed" from the public monopoly only in 1976 with broadcasters such as Radio Milano International which had the pirates of the northern seas of the previous decade as their point of reference. You can hear a nice presentation of this book from the author's voice. We talked about it in an interesting conversation that we wanted to enrich with jingles and period contents. In conclusion, we can say that in the long run offshore radios, despite having had a limited time duration, won. After their closure many of the DJs, sound engineers and program editors switched to "institutional" broadcasters which, as in the case of BBC 1, adopted their content and style. The definitive opening of broadcasting to private individuals did the rest. But this, as someone said, is another story.
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